“Se avete avuto la curiosità di leggere il mio curriculum vi sarete di certo accorti che il mio lavoro nelle lirica è cominciato nell’ultima parte della mia carriera. Non so perché non me ne sia interessato attivamente prima – forse la prosa mi aveva assorbito completamente – ma quando il Direttore dell’Opera Moldava, che precedentemente dirigeva il Teatro Nazionale di Prosa – di cui sono stato per anni regista ospite- mi ha offerto la regia dell’Otello di Verdi, mi sono buttato – non prima di conoscere da vicino la Lirica come regista assistente di Davide Livermore nel Così fan tutte del Petruzzelli di Bari – . Probabilmente più che essere io veramente utile a lui in quell’occasione è stato lui ad essererlo stato per me: un grande maestro che mi ha iniziato ad un nuovo mondo.
Il mio primo spettacolo di lirica è andato in scena ed è stato fantastico e con grande stupore mi sono ritrovato premiato, proprio per questo Otello, come miglior regista di Romania del 2015. Da allora questa arte meravigliosa mi ha assorbito completamenmte… letture, visione, approfondimenti…
Non so se conoscere profondamente la musica – e comunque per una decina di anni ho studiato e suonato la chitarra classica – sia un bene necessario per un regista lirico, -utile certamente sì, ma indispensabile sinceramente non lo so – . Sono certo però che sia, se non una necessità, un grande vantaggio essere stato prima un attore e poi un regista di prosa. Opera dopo opera mi è sempre più chiaro il perchè: la drammaturgia del libretto è anche quella dello spartito. Il ritmo, il colore, i forte e i piano, le cadenze, le pause sono generati dalla stessa crezione, si intersecano, coincidono. Leggendo il libretto ed interpretandolo puoi quasi intuire ogni passaggio musicale che lo completa, quasi misura per misura. E poi, io credo che se il direttore d’orchestra e il regista si parlano sarà il primo, quando è necessario, a guidare con più attenzione il secondo all’interno delllo spartito.
Credo che il grande tema dell’opera lirica contemporanea sia la considerazione di cosa sia veramente antico, nel senso di superato, e moderno, nel senso di attuale. Nella modalità interpretativa e soprattutto comunicativa. Provenendo dalla prosa per me il tema non è quanto è moderno, ma come può ancora oggi essere efficace, divertente, emozionante, provocatorio. Troppo spesso il moderno è sovraccarico di strutture iperintellettuali – le chiamo pippe mentali – e vi chiedo scusa per la franchezza – o fine a se stesso, vuotamente provocatorio o gratuitamente trasgressivo: il famolo strano.
Il mio primo obiettivo è quello semplicemente di far comprendere profondamente ai cantanti cosa dicono e perché lo dicono. Poi, nel limite del tempo, del loro talento specifico, della loro esperienza, quello di farli veramente recitare. Nel far uscire la loro voce dall’anima e dal cuore. Nell’assoluto rispetto della difficoltà tecnica che contraddistingue il loro mestiere fatto di acrobazie interpretative di rara e stupefacente virtuosità. La mia lunga esperienza prima come attore poi come regista nella prosa mi ha educato alla profonda lettura dei testi e al lavoro sul personaggio, gli insegnamenti di grandi maestri registi, scenografi e costumisti con cui ho avuto la fortuna di lavorare – Gabriele Lavia, Jerome Savary, Renato De Carmine, Grazia Cipriani, Carmelo Giammello, Graziano Gregori, Andrea Viotti,…- e gli oltre cinquanta spettacoli a cui ho preso parte come attore, docente, assistente alla regia e regista, nel panorama italiano ed internazionale nella mia oltre trentennale carriera, mi hanno sicuramente fornito il bagaglio necessario ad affrontare con professionalità e creatività il palcoscenico.
Nel guardare le immagini relative alle Opere da me messe in scena, potrete sicuramente notare che gli allestimenti vanno verso una direzione estetica e concettuale decisamente classiche; esclusa la trasposizione negli anni corrispondenti alla seconda guerra mondiale del Macbeth. Queste mie scelte sono state determinate da richieste specifiche degli enti produttori. Conoscendo la mia storia, le mie origini teatrali, è chiaro che la mia fantasia interpretativa trova anche una naturale corrispondenza in direzioni più innovative e coraggiose.
La trasversalità delle mie esperienze formative e professionali ha, di fatto, spaziato in diverse modalità espressive da cui ho cercato di attingere quello che più si legasse alla mia anima. Il teatro di innovazione mi ha insegnato a lavorare in povertà, nello spazio vuoto e a provare il piacere della ricerca di nuove strade interpretative. Il lavoro con Gabriele Lavia, la gestione del palcosceenico e delle masse nella sua tridimensionalità, la prossemica, l’analisi del testo e la direzione dell’attore-cantante. Il quasi ventennale rapporto con gli artisti dell’est europeo – provenienti dalle prestigiose scuole teatrali moscovite – un profondo lavoro sul personaggio e sulla verità della relazione in scena. Nella grande querelle dell’opera di oggi, quella fra antico e moderno sulle regie, io credo che non è essenziale essere moderni o tradizionali nell’ambientazione, ma modernissimo anzi contemporanei nella recitazione. Non voglio scioccare né scandalizzare. Lo scandalo, se c’è, è nel testo, non nella regia.
Io credo che un regista lirico che sa fare il suo mestiere, deve essere capace di belle messinscene, di un buon lavoro con i cantanti, ma deve soprattutto raccontare la storia del compositore, del librettista, non la sua. Perché non dobbiamo credere a Mozart o a Piave, a Verdi o a Boito? Il mio lavro è dar voce e corpo e anima a Verdi, Mozart, Boito, Piave, fidarmi di loro come nella prosa ci fidiamo di Euripide, Shakespeare, Brecht… fidarmi del loro messaggio profondo e poetico e per questo eterno. Il mio lavoro è per il pubblico, melomane di vecchia data, giovane, di ogni ceto sociale e latitudine, non certamente per una esigua schiera di intellettuali radical chic o ancor peggio di guardoni della trasgressione a tutti costi. Non saranno certo un mantello o un cappotto militare, una mimetica o un calzamaglia con la conchiglia a fare la differenza. Come non basterà certo la sintesi di un concetto espresso da una costosa scenografia, che resterà fine a se stessa e si “brucerà” dopo pochi secondi di stupore se non si legherà profondamente alla recitazione, alla relazione, al percorso psicologico dei personaggi.
Chi vede un mio spettacolo deve tornare a casa senza i però, non si deve annoiare, non deve distrarsi, ma restare con me, con noi, senza soluzione di continuità, e speriamo divertirsi, emozionarsi. Nel mio progetto non impongo me stesso. Capisco dove sono, ascolto quello che mi viene chiesto, forse anche cosa si aspettano da me, Uno spettacolo si può veramente costruire nella grande povertà di mezzi e quindi con poco, ma nella ricchezza della capcità di interpretazione e di coralià dell’ ensamble. Quando si hanno più mezzi a disposizione a tutto questo si aggiunge la possibilità di ricorrere a processi narrativi diversi, più ricchi e complessi, ma non perquesto migliori. Si gioca in un’altra maniera e non per questo è, o sarà, meglio o peggio. Sono contrario alle prese di posizione radicali, forse perchè il mio segno zodiacale è la bilancia.”
Andrea Battistini